Introduzione
Che cosa intendeva Gesù quando disse: “Venite dietro a me”? L’espressione compare quattro volte nel NT, tutte nei Vangeli (Matteo 16:24; Marco 8:34; Luca 9:23; 14:27). Tutte, tranne una, prevedono l’uso del verbo erchomai, io vengo. L’eccezione è rappresentata da Marco 8:34, dove viene utilizzato il verbo akoloutheō, che ha tipicamente il significato di seguire. Da esso deriva la parola inglese acolyte (accolito), colui che segue e assiste un sacerdote durante il culto.
Tre di questi passi sono paralleli: tutti sono frasi del Signore. Egli disse: «Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua». (Matteo 16:24; Marco 8:34; Luca 9:23).
Il quarto, Luca 14:27, restituisce lo stesso messaggio, ma con una formula leggermente diversa: “E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo” (enfasi aggiunta). Quest’ultimo passaggio si distingue particolarmente dagli altri per i versetti successivi, che descrivono i costi del discepolato. Negli altri tre brani, i versetti successivi parlano della salvezza o della perdita della propria vita (psychē) e del ritorno del Signore che ricompenserà ciascuno secondo le sue opere.
La nuova nascita seguendo Cristo?
La maggior parte dei pastori, dei teologi e dei commentatori ritiene che questi quattro passi si riferiscano alla nuova nascita. Si vedano le seguenti argomentazioni.
Nel commentare Marco 8:34-38, Alan Cole scrive:
“In sostanza, per il Cristiano seguire Gesù diventa la speranza di entrare in cielo, poiché è lì che è asceso il nostro leader (Eb 6:19-20): ma la croce viene prima” (Mark, p. 207).
E continua: “Quindi, rifiutarsi di accettare questo “morire a se stessi”… indica la morte spirituale; mentre, per paradosso divino, la vita spirituale si trova solo morendo a se stessi (Ga 2:20)”. Conclude: “Qualsiasi prezzo sarebbe stato giusto per il regno, se solo questi testardi uomini d’affari fossero riusciti a capirlo” (p. 208).
Marvin Pate, commentando Luca 9:23-26, è un po’ meno chiaro. Tuttavia, la sua riflessione sulla “vera fede” e sulla “gloria eterna” (diversa da quella piena e speciale gloria che solo i credenti fedeli riceveranno) dimostra che anche lui ne fa una questione di vita eterna contro morte eterna:
“In tutte e quattro le versioni dei Vangeli, che invitano ad impegnarsi, la risposta richiesta è la fede, perché essa non si concentra su ciò che può essere visto (la vergogna ed il rifiuto associati alla crocifissione di Cristo), ma su quello che non si vede (la gloria eterna). La vera fede ti predispone a dare la vita ogni giorno per servire Cristo” (Luke, p. 209).
David Dickson, commentando Matteo 16:24-27, dice: “Il risultato di portare la mia croce o di rifiutarla si vedrà nel giorno del giudizio” (Matthew, p. 230). Continua dicendo che Gesù “ricompenserà il dannato con il giudizio che merita e ricompenserà la grazia di soffrire per [Cristo] con la corona della vita” (p. 230). Egli interpreta la vita eterna come una ricompensa del soffrire per Cristo.
Nel suo famoso libro Christ’s Call to Discipleship, James Montgomery Boice dedica un intero capitolo a Luca 9:23-26 (capitolo 3). Lì, parla dell’invito a rinnegare se stessi, a prendere la propria croce e a seguire Cristo come “elementi essenziali del Vangelo” e “fattori sostanziali del Cristianesimo” (p. 37). Più avanti, in un capitolo sul calcolo dei costi (del discepolato, n.d.t.) (capitolo 9), Boice offre un esempio pratico di quello che ha detto in precedenza:
“Io dico che… il minimo che una persona debba offrire è tutto. Dico: “Dovete dare tutto. Non potete trattenere nemmeno una piccolissima percentuale di voi stessi. Ogni peccato deve essere abbandonato. Ogni pensiero falso deve essere ripudiato. Dovete appartenere interamente al Signore”” (p. 114).
Ricompense eterne seguendo Cristo
Eppure, questi quattro passaggi parlano proprio di ciò che il Signore dichiara, ovvero di come seguirlo. Seguire Cristo è una questione di discepolato e, contrariamente a quanto molti sostengono, il discepolato non è una condizione necessaria per la vita eterna. Il tema è imparare di più sul Signore Gesù e diventare più simili a Lui, non nascere di nuovo.
Hal Haller dice:
“Gesù, qui [Matt 16:24-28], sta parlando di ricompense, non di salvezza. La parola greca psychē è usata quattro volte nei vv. 25-26 e, purtroppo, viene tradotta come vita nel v. 25 e, ancora, come anima nel v. 26.
Perdere la psychē non significa essere eternamente separati da Dio all’Inferno. Tanto meno salvare la propria psychē significa ottenere la vita eterna. Non è questo il punto…
Piuttosto, la salvezza dell’anima significa salvezza da una vita inutile, per una più ricca di soddisfazione, gioia, valore, vittoria, prestigio, autorità e riposo nel futuro regno millenario (cfr. 2Ti 2:12; Eb 3:6, 14; 4:11)” (“Matthew”, The Grace NT Commentary, p. 1:76).
Leon Morris sembra essere della stessa idea, dicendo, di Mt 16:24-28, che il credente egocentrico: “Esiste, ma non vive” (Matthew, p. 432). E continua affermando, di colui che perde la sua vita per amore di Gesù, che: “Quella persona troverà la vita”.
I primi tre passaggi in cui troviamo l’espressione “Venite dietro a me’ terminano tutti con un riferimento al Trono del Giudizio di Cristo (Matteo 16:27; Marco 8:38; Luca 9:26) e con la possibilità di vedere il regno di Dio, ovvero vedere il Re nella Sua gloria sul Monte della Trasfigurazione (Matteo 16:28; Marco 9:1; Luca 9:27).
L’interpretazione del discepolato fa la differenza
C’è una differenza enorme nella pratica se, in questi quattro passi, propendiamo per l’interpretazione della giustificazione e quella della santificazione. Chi sostiene che il tema sia la giustificazione, predica la salvezza per mezzo del sacrificio, prendendo la propria croce ogni giorno e seguendo Cristo fino alla morte sulla via della sofferenza. Sebbene tenti di armonizzare questa interpretazione con Giovanni 3:16, Atti 16:31 ed Ef 2:8-9, non riesce a farlo in modo convincente.
Chi invece considera che il tema sia la santificazione e le ricompense eterne, invoca le stesse cose, ma considera questo invito molto diverso dall’offerta del dono gratuito della vita eterna. Noi predichiamo il messaggio della vita, il dono gratuito della vita eterna per mezzo della sola fede in Colui che ha rimosso i peccati del mondo al Calvario e, separatamente, quello dell’invito al discepolato e all’abbondanza della vita.
Sebbene chi sostenga che seguire Cristo sia una questione di giustificazione abbia buone intenzioni, si sbaglia: sta involontariamente corrompendo il Vangelo di Cristo. Rende impossibile avere la certezza del proprio destino eterno, che diventa dipendente dalla perseveranza nelle buone opere fino alla morte. Confonde le persone che evangelizza. Non si esprime proprio in questi termini, ma il succo del suo messaggio è: non so dove andrò quando morirò. Se avete giusto 15 minuti di tempo, posso aiutarvi a non sapere dove andrete quando morirete.
Seguire il Signore Gesù Cristo? Assolutamente sì. Solo uno sciocco non lo farebbe. Egli ricompensa la nostra fedeltà. Ma non pensiate che seguendolo vi stiate adoperando per trascorrere l’eternità con Lui. La vita eterna è gratuita. L’acqua della vita è un dono, un dono, un dono (Ap 22:17).
di Bob Wilkin
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Bob Wilkin (ThM, PhD, Dallas Theological Seminary) è il Fondatore e Direttore Esecutivo della Grace Evangelical Society e co-presentatore del programma Radio Grace in Focus. Vive a Highland Village, Texas, con sua moglie Sharon. I suoi ultimi libri sono Faith Alone in One Hundred Verses e Turn and Live: The Power of Repentance.