Nei giorni scorsi, durante una lezione di Scuola Domenicale, stavamo analizzando la parabola delle dieci mine in Luca 19:11-27. In questa parabola ci sono tre servi del Signore che danno conto di come Lo hanno servito mentre aspettavano il Suo ritorno.
È evidente che tutti e tre i servi sono credenti. È anche chiaro che ognuno riceve una diversa quota di ricompensa in base alla fedeltà con la quale ha servito il Signore. Il primo riceve dieci città nel Regno di Dio. Il secondo riceve cinque città. Il terzo non riceve nessuna città sulla quale regnare.
Sebbene il senso generale della parabola fosse abbastanza chiaro, la classe era particolarmente interessata ad una parte che non lo era altrettanto. Quando il terzo servo, colui che non riceve alcuna città, si presenta al cospetto del Signore, dice qualcosa di piuttosto strano. Era un credente e sapeva che il Signore sarebbe tornato, ma quando gli viene chiesto che cosa ha fatto con la sua mina (che rappresenta l’opportunità di servire il Signore in Sua assenza), dice: “Perché ho avuto paura di te che sei un uomo duro; tu prendi quello che non hai depositato e mieti quello che non hai seminato” (Luca 19:21).
Questo credente afferma di non aver lavorato per l’avvento del Regno e di non aver fatto ciò che il suo Signore gli aveva detto. E questo è abbastanza chiaro. Tuttavia, la ragione che adduce è alquanto sorprendente. Dice di non aver servito il Signore perché Lo temeva.
Come qualcuno ha fatto notare in classe, non è forse una cosa positiva temere il Signore? Il credente non dovrebbe avere un “timore reverenziale” verso di Lui? Non dovrebbe provare una sana paura per quello che gli dirà il giorno in cui si troverà alla Sua presenza? Questa paura non dovrebbe motivarlo a servire il Signore?
Ma ecco che qui abbiamo un uomo che teme il Signore e non fa nulla! Se ne aveva paura, perché non ha fatto qualcosa? Sapeva che un giorno si sarebbe trovato davanti a Colui che temeva. Invece di spingerlo all’azione, questa “paura” aveva avuto l’impatto esattamente opposto sulla sua vita.
La cosa non aveva alcun senso per la classe. Nella nostra discussione, queste sono alcune delle conclusioni a cui siamo giunti. Forse chi legge il blog può aggiungere la sua.
La prima cosa che salta all’occhio è che questo servo ha un’idea sbagliata del Signore. Lo vede come un uomo crudele. Ma nella parabola vediamo che Egli è un Signore benevolo. Il secondo servo non Lo serve bene quanto il primo, eppure gli vengono assegnate cinque città da governare.
Nelle parole del terzo servo è inoltre implicita l’idea che il Signore, essendo duro, non ha alcun interesse personale affinché i Suoi servi abbiano successo. Si preoccupa solo di quello che Lui può ottenere. Non si preoccupa della loro ricompensa.
Ma la reazione verso il primo ed il secondo servitore dimostra che non è così. Ad entrambi, infatti, il Signore affida generosamente molte più responsabilità di quelle che avevano ricevuto in origine con le “minime cose” che il Signore aveva dato loro (v. 17).
Questa visione errata aveva portato il terzo servo a concludere che non valesse la pena di sforzarsi per servire un simile Padrone. Era meglio restituire semplicemente ciò che gli era stato dato. Il Signore non era degno di essere servito.
Nel mettere in pratica questa particolare parte della parabola, ci torna alla mente ciò che l’autore di Ebrei dice in Eb 11:6. Chi vuole piacere a Dio deve credere che Egli è un Dio che ricompensa coloro che lo cercano assiduamente. Il terzo servo non ci credeva. Forse, possiamo riscontrare questo atteggiamento in molti Cristiani dei giorni nostri. Essi rifiutano l’idea che ci siano delle ricompense; spesso affermano che se esistono, non le vogliono. O si convincono persino che, se ci sono ricompense, il Signore non darebbe mai a loro tali benedizioni. Esse sono riservate soltanto ai credenti più importanti.
Sembra che il senso di questa parabola, tra le altre cose, sia che Cristo è un Signore misericordioso che vuole ricompensarci. Se saremo fedeli nel servirlo, Egli ci darà tali ricompense. Questa è la natura del nostro Signore.
di Kenneth Yates
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Ken Yates (ThM, PhD, Dallas Theological Seminary) è l’editore del Journal of the Grace Evangelical Society e speaker regionale ed internazionale della GES. Il suo ultimo libro si intitola Hebrews: Partners with Christ.