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L’uomo nell’Arena (Gal 1:6-8)

L’uomo nell’Arena (Gal 1:6-8)

June 22, 2022 by Ken Yates in Grazia Gratuita

Theodore Roosevelt fu il 26esimo presidente degli Stati Uniti. Poco dopo aver lasciato il suo incarico, fece un discorso che divenne famoso con il nome di “L’uomo nell’Arena”. Uno dei punti del discorso è che l’uomo che prende una posizione è da ammirare. Spesse volte, le persone sono critiche dell’uomo che fa così. Sono come spettatori che guardano un uomo combattere in un’arena. Lo criticano, parlando di come loro farebbero le cose in maniera diversa se fossero al suo posto. Ma non hanno voluto prendere la posizione che ha preso invece l’uomo nell’arena. Parlando di queste critiche e di colui verso cui sono rivolte, Roosevelt disse:

Non è il critico che conta; non è l’uomo che indica come inciampa il forte, o che dichiara dove avrebbe dovuto fare meglio chi compie un’opera. Il merito appartiene all’uomo che si trova nell’arena, il cui volto è deturpato dalla polvere, dal sudore e dal sangue.

Queste sono parole che ispirano. In qualche modo si applicano anche alla sfera dell’arena teologica. In Galati 1:6-8, Paolo ci dice che c’è un solo vangelo che può salvare una persona dal lago di fuoco. Ma non immaginereste mai che questo ha valenza anche oggi. Ci sono numerosi vangeli che vengono proclamati, persino tra gli evangelici conservatori. Alcuni ritengono che il pentimento sia necessario al fine di essere salvato. Ma ci sono varie opinioni circa il significato di pentimento. Potrebbe voler dire sentirsi tristi per i peccati. Potrebbe voler dire smettere di peccare. Per alcuni predicatori vuol dire che la persona non salva deve solo desiderare di non peccare più.

Molti ritengono che l’unico requisito per ricevere la vita eterna è la fede, ma ci sono opinioni diverse su quello che la fede implica.

Alcuni dicono che includa le opere come evidenza di fede salvifica. Altri dicono che la vera fede porterà buone opere fino alla fine della propria vita. Altri ancora dicono, che la fede debba includere un impegno o la decisione di obbedire a Gesù in tutto ciò che ci comanda di fare. Molti predicatori dicono che bisogna credere in Gesù per il perdono dei peccati, altri che bisogna credere nella sua divinità. È comune anche sentir dire che bisogna solo credere che è morto sulla croce e sia resuscitato dai morti.

Lo stesso vale per la garanzia di salvezza. Alcuni dicono che non possiamo essere sicuri perché la salvezza eterna può essere persa. Altri dicono che non possiamo essere sicuri perché non sappiamo se siamo stati scelti da Dio per la salvezza prima ancora che nascessimo. Altri ancora, dicono che non dovremmo chiederci nulla a riguardo perché non possiamo saperlo se non alla fine della nostra vita.

Se ci fossero dieci teologi in una stanza, probabilmente ci sarebbero dieci opinioni diverse su cosa salva una persona e se quella persona può o meno essere sicura della sua salvezza. Ma insieme a questa situazione si verifica uno strano fenomeno. Alla luce delle dichiarazioni di Paolo in Galati 1:6-8, questi teologi dovrebbero contendere l’uno con l’altro su qual è il messaggio corretto. Dopotutto, sono in disaccordo sul messaggio più importante della Cristianità.

Ma non è questo il caso. Per mantenere l’unità, molti teologi decidono che queste differenze non sono un problema insormontabile. Tutti ritengono che ognuno di questi vangeli siano messaggi salvifici. Questi teologi ritengono di far parte della stessa squadra, anche se ognuno ha opinioni diverse sul vangelo.

Tuttavia, c’è un’eccezione a questo senso di unità. Ho conosciuto persone che dichiarano che c’è un solo vangelo. Questi si fanno notare perché dicono che non ci può essere più di un messaggio che salva. L’unità non può essere guadagnata a spese della verità. Dobbiamo cercare la verità. Il vangelo che salva una persona dal lago di fuoco è questo: bisogna credere che Gesù è Colui il quale dà vita eterna come dono gratuito che non può essere perso.

Ciò che rende questo messaggio unico è che non aggiunge alcuna opera alla definizione di fede. Non richiede che uno debba pentirsi dai propri peccati per essere salvati. È un messaggio che include sicurezza di salvezza perché le opere non hanno alcun ruolo. È una salvezza che non può essere persa.

Coloro che proclamano questo messaggio sono come l’uomo nell’arena. Molti sono sugli spalti e ascoltano. Lo criticano. Anche se i critici non sono d’accordo gli uni con gli altri, sono però uniti nel loro sdegno per quello che sta nell’arena lontano dalla folla.

Secondo questo discorso di Roosevelt, è quell’uomo nell’arena a dover essere ammirato. Non chi lo critica. Loro giocano sul sicuro. Non sono disposti a prendere una posizione riguardo a quello che loro ritengono sia la verità. Sono uniti nell’opporsi all’uomo che lo fa. E mentre lo prendono in giro, non pensano sia strano il fatto di non esser d’accordo con quelli che hanno intorno e che stanno ridicolizzando l’uomo con loro, ma per ragioni diverse. Se però lo considerano strano, forse pensano “Non siamo d’accordo con loro negli aspetti più importanti della fede, ma non siamo pazzi come quell’uomo”

In questo caso, io concordo con il gladiatore nell’arena. C’è un solo messaggio che salva. È il messaggio della grazia. Possiamo ognuno di noi essere in grado di scendere nell’arena e combattere per quel messaggio, senza avere riguardo per i critici negli spalti.

Di Kenneth Yates

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Ken Yates è Editore del giornale della Grace Evangelical Society, Relatore Internazionale GES e pastore della Little River Baptist Church in Jenkisville, SC.

 

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by Ken Yates

Ken Yates (ThM, PhD, Dallas Theological Seminary) is the Editor of the Journal of the Grace Evangelical Society and GES’s East Coast and International speaker. His latest book is Mark: Lessons in Discipleship.

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