«Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s’innalza sarà abbassato, ma chi si abbassa sarà innalzato». (Luca 18:14).
Domenica scorsa, in chiesa, ho ascoltato un bel sermone su Luca 18:9-14, la parabola del fariseo e del pubblicano. Il predicatore ha giustamente notato un piglio di presunzione nel fariseo e uno spirito umile nel pubblicano. Ha detto che l’esattore fu giustificato per mezzo della fede quel giorno stesso. La sua umiltà era la dimostrazione che stava credendo in Gesù per la vita eterna.
Ho mantenuto questa idea fino al 2008, molto tempo dopo la mia laurea magistrale (1982) e il mio dottorato (1985) presso il DTS (Dallas Theological Seminary). Quella dell’esattore giustificato dalla fede in Cristo è una visione ortodossa. Personalmente, però, non sono più convinto che sia questo ciò che quel passo insegni.
Ho ricevuto una telefonata dal Dr. René López. Al Valdés stava terminando i suoi commentari su Luca e Atti. René e Al avevano trascorso molto tempo a discutere di Luca 18:9-14 e della giustificazione ivi menzionata.
René era fermamente convinto che il Signore non stesse parlando della giustificazione legale davanti a Dio quando disse che il pubblicano lasciò il tempio giustificato.
Gli ci volle un dibattito piuttosto animato di circa mezz’ora per convincermi che aveva ragione. Io ero testardo ma, se conoscete René, sapete quale grande oratore sia.
Ecco le argomentazioni da lui riportate:
- Da nessun’altra parte nei quattro Vangeli il Signore Gesù ha detto qualcosa che possa essere interpretato come l’insegnamento della giustificazione per mezzo della sola fede.
- Ha usato la parola giustificare (dikaioō) solo altre sei volte nei Vangeli. Ha detto che la sapienza è giustificata o rivendicata dai “suoi figli” (Mt 11:19; Lu 7:35). Il Signore ha parlato del giudizio futuro in Mt 12:37, probabilmente riferendosi sia al giudizio del Tribunale di Cristo che a quello del Grande Trono Bianco, dicendo che quando i credenti e i non credenti saranno giudicati in base alle loro opere, le loro parole avranno un ruolo importante nel determinare il grado di ricompensa (credente) o di tormento (non credente) che riceveranno. Dio stesso, secondo il Signore Gesù, fu giustificato o rivendicato dai pubblicani (Luca 7:29). Un avvocato che si presentò a Gesù cercò di giustificare o rivendicare se stesso chiedendo: “E chi è il mio prossimo?” (Luca 10:29). Gesù rimproverò i farisei dicendo: “Voi siete quelli che giustificate (o rivendicate) voi stessi davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori” (Luca 16:15).
- Nei quattro Vangeli il Signore non viene mai citato mentre usa il sostantivo giustificazione (dikaiosunē).
- Non ha usato la parola giustificare nel Vangelo di Giovanni, l’unico libro evangelistico della Bibbia (Giovanni 20:30-31).
- Di contro, il Signore Gesù ha parlato di vita eterna ventisei volte nei Vangeli (diciassette delle quali nel Vangelo di Giovanni). Inoltre, ha usato la semplice parola vita come riferimento alla vita eterna cinque volte in Matteo e Marco (Mt 7:14; 18:8; 19:17; Mr 9:43, 45) e diciassette volte in Giovanni (1:4, due volte; 3:36; 5:21, 24, 40; 6:33, 35, 48, 53, 63; 8:12; 10:10; 11:25; 14:6; 20:31).
- In Luca 18:9-14, il requisito per la giustificazione non è la fede in Cristo per avere la vita eterna. È, piuttosto, l’umiltà: “perché chiunque s’innalza sarà abbassato, ma chi si abbassa sarà innalzato“. Mai una volta nel Vangelo di Giovanni o nelle epistole ci viene detto che chi umilia se stesso ha la vita eterna. Ci viene detto, invece, che Dio resiste ai superbi ma dà grazia agli umili, il che si ricollega alle nostre circostanze presenti – essere benedetti o afflitti – non al nostro destino eterno (cfr. Gm 4:6; 1P 5:5).
- L’aspetto più evidente di Luca 18:14 è che il pubblicano, a differenza del fariseo, aveva un’attitudine che piaceva al Signore. Egli tornò a casa sua giustificato davanti al Signore per quanto riguarda il suo carattere. Il suo destino eterno non era in discussione. Il punto era la sua presente approvazione o condanna da parte di Cristo.
Implorare Dio per ottenere misericordia non dà a nessuno la vita eterna. È una cosa buona da fare e potrebbe indurre una persona a cercare il Signore in risposta al Suo richiamo. Potrebbe, in seguito, portare alla nuova nascita. (Ovviamente, anche un credente potrebbe invocare la misericordia di Dio). Per essere salvati, però, bisogna credere in Colui che dona per avere il dono di Dio, cioè la vita eterna (Giovanni 3:16; 4:10-14). In Luca 18:9-14 non si parla né del dono né di Colui che lo fa.
di Bob Wilkin
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Bob Wilkin (ThM, PhD, Dallas Theological Seminary) è il Fondatore e Direttore Esecutivo della Grace Evangelical Society e co-presentatore del programma radio Grace in Focus. Vive a Highland Village, Texas, con sua moglie Sharon. I suoi ultimi libri sono Faith Alone in One Hundred Verses e Turn and Live: The Power of Repentance.