Nel 2000 uscì il film Il gladiatore. Ambientato alla fine del II secolo, ha come protagonista Russell Crowe nel ruolo di Massimo Decimo Meridio, che diventa un eroe tragico dopo essere stato un generale di grande successo dell’esercito romano.
Il film ha inizio all’apice della sua fortuna. Massimo guida i suoi soldati in una battaglia contro le tribù pagane germaniche. Nella sua mente, e in quella dei suoi soldati e dei cittadini di Roma, i membri di tali tribù sono moralmente riprovevoli ed ostacolano l’ordine e la civiltà che Roma offre al mondo. È uno scontro brutale e il generale viene raffigurato come un uomo che si prende cura dei suoi soldati e li guida coraggiosamente in battaglia, allo stesso tempo condividendo le loro sofferenze.
In questa situazione, un condottiero come motiverebbe i suoi soldati? Cosa direbbe? Il generale tiene un discorso ai suoi subalterni immediatamente prima di scendere in battaglia. Vuole che vadano incontro ai barbari nemici dall’altra parte della foresta con coraggio. La motivazione che li spinge a farlo è riassunta al meglio dalle sue parole di commiato: “Fratelli: ciò che facciamo in vita riecheggia nell’eternità”.
Massimo dice ai suoi uomini che se faranno il loro dovere e saranno uccisi in battaglia, si risveglieranno nei Campi Elisi. Si tratta di un riferimento all’aldilà greco: era il posto in cui gli eroi virtuosi avrebbero dimorato per sempre, uno speciale luogo d’onore dove coloro che con fedeltà avrebbero fatto ciò che era giusto, senza badare ai costi, sarebbero stati in special modo ricompensati.
Nel suo discorso Massimo, fondamentalmente, fa uso delle ricompense eterne come sprone per i suoi uomini affinché siano disposti a compiere l’estremo sacrificio. Non so se i soldati delle legioni romane del II secolo credessero che i Campi Elisi fossero un luogo reale. Il film potrebbe non essere storicamente accurato e le parole di Massimo di certo non sono corrette dal punto di vista biblico! Ma se quei soldati credevano in un luogo del genere e in una simile ricompensa, questo avrebbe dato loro una motivazione molto forte per le avversità ed i pericoli che dovevano affrontare.
Dobbiamo anche ammettere che l’idea di tali ricompense è sensata. Se una persona crede in una vita ultraterrena e nell’esistenza di divinità giuste, è ragionevole pensare che le buone opere vengano ricompensate. Un soldato agli ordini di Massimo, che combatte nella neve, in una terra lontana, per stabilire ordine e pace in un mondo dominato dal caos, sarebbe stato visto con più favore dagli dèi rispetto ad un uomo rimasto a Roma nel comfort e nell’agio. Quel coraggioso soldato pensava di ricevere un’eredità speciale nella parte più bella del mondo a venire. Almeno nel film, il discorso di Massimo ha l’effetto desiderato: i soldati romani cavalcano e marciano volontariamente in battaglia.
Naturalmente, non dobbiamo basare la nostra teologia su un film come Il gladiatore né su quello che i poeti greci o i generali romani potevano pensare. Ma il NT insegna che ci saranno delle ricompense nel regno eterno che Cristo stabilirà. Tutti coloro che avranno creduto in Gesù per avere la vita eterna faranno parte di quel regno. Tuttavia, coloro che lo avranno servito fedelmente riceveranno, inoltre, ricompense speciali ed un’eredità in quel regno.
Il movimento della Grazia Gratuita promuove questa idea. Essa è presente in ogni parte delle Scritture (Mt 5:12; Ro 8:17; 1Co 3:10-15; 2Co 5:10; Ap 22:12; ecc.). Tuttavia, siamo consapevoli che molti evangelici rifiutano questa dottrina. Anche se lo si ritrova nelle parole di Cristo e dei suoi apostoli, essi sostengono che la Bibbia non insegni tale concetto.
Devo ammettere che mi sconcerta. Non riesco a capire come facciano a non vedere ciò che è chiaramente scritto nelle pagine del NT. Mi rendo conto che è a causa delle loro tradizioni e dei loro insegnamenti: è come se avessero dei paraocchi.
Ma un’altra cosa che mi lascia basito è che qualcuno possa dichiarare, ad esempio: “Non credo nelle ricompense perché non ha senso”. Ad un’affermazione del genere spesso fa seguito una spiegazione della giustizia di Dio. Egli non farebbe alcuna distinzione tra il Suo popolo e nel Suo regno, non sarebbe giusto: in un regno perfetto tutti devono essere uguali.
In sostanza, le persone che assumono questa posizione sostengono che le ricompense eterne sono assurde.
Tali argomentazioni possono solo essere il frutto della cecità prodotta dalle tradizioni religiose e dal rifiuto di prendere alla lettera le parole della Scrittura. Il fattore più importante è che Gesù e la sua Parola ci dicono che le ricompense saranno una realtà nel mondo a venire. Ma potremmo anche aggiungere che tali ricompense hanno chiaramente un senso. Hanno talmente senso che persino un finto generale romano in un film, accecato dalla miscredenza pagana, potrebbe affermare una tale ovvietà.
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Ken Yates (ThM, PhD, Dallas Theological Seminary) è l’editore del Journal of the Grace Evangelical Society e speaker regionale ed internazionale della GES. Il suo ultimo libro si intitola Hebrews: Partners with Christ.