Giuseppe è una delle luci più splendenti del VT. Fu un uomo che rimase fedele al Signore nonostante avesse vissuto tante difficoltà e ingiustizie. La sua storia si trova in Genesi 37-48.
Fu trattato molto duramente dai suoi fratelli e fu portato schiavo in Egitto. Divenne il responsabile di una della più influenti casate ma finì in prigione per delle false accuse.
In prigione, salì di nuovo al potere gestendo la prigione. Divenne amico del coppiere del re, che però presto dimenticò quel che Giuseppe aveva fatto per lui. Ma Dio mandò delle piaghe al Faraone con un sogno che, alla fine, solo Giuseppe poteva interpretare.
Giuseppe divenne la mano destra del Faraone, e guidò la nazione durante i sette anni di carestia. Poi, perdonò e benedì grandemente i suoi fratelli che gli avevano causato tanto dolore.
Cosa motivava Giuseppe ad agire in quel modo? Aveva accettato tutto ciò che gli era successo e non provava rancore contro quelli che lo avevano maltrattato. Forse era una persona che sapeva perdonare. Altri direbbero che era umile, che alzava le braccia ogni volta che gli succedeva una calamità, dicendo a sé stesso, “cosa ci posso fare? Così è la vita”.
Ma penso si possa descrivere più accuratamente il perché Giuseppe fosse l’uomo che era e perché rappresenta un esempio eccellente per i credenti di allora ed oggi. Perché credeva in quel che Dio diceva. Nello specifico, credeva quello che Dio diceva sulle ricompense.
Nella Genesi, all’inizio della sua storia Giuseppe ebbe un sogno nel quale veniva esaltato (Gen 37:5-11). I sogni erano spesso visti, dai patriarchi ebraici, come qualcosa che proveniva da Dio. Giuseppe credeva in ciò che il sogno gli diceva. Questo spiegherebbe perché abbia sempre avuto un atteggiamento positivo sulle cose che gli succedevano, quando era uno schiavo o anche in prigione. Il suo status sarebbe cambiato un giorno sulla base di quello che Dio gli aveva rivelato.
Sappiamo dal NT che Giuseppe aveva creduto che la fedeltà durante la prova sarebbe stata ricompensata nel mondo a venire (Ebr 11:22). Sapeva che ci sarebbe stata una resurrezione, e voleva che le sue ossa fossero portate nella Terra Promessa quando sarebbe successo. Anche se era uno degli uomini più ricchi al mondo, sapeva che le sue ricchezze non si trovavano in Egitto ma nel futuro Regno di Dio. Era una persona che guardava ad una “resurrezione migliore” (Ebr 11:35). Aveva sopportato tutto ed era l’uomo che era perché sapeva che Dio l’avrebbe ricompensato. Non era solo un uomo che aveva accettato le sfortune della vita come parte di essa, ma c’è molto di più sulla vita di Giuseppe.
Spesso incontriamo persone che pensano che le ricompense siano insignificanti. Dicono di voler fare opere buone solo perché amano Dio. Questa è una grande motivazione. Ma quando guardo alla vita di Giuseppe, vedo che l’amore per Dio non era la sua unica motivazione. Sarebbe rimasto scoraggiato dalle varie vicissitudini se non avesse creduto che Dio ripaga coloro che lo servono fedelmente. Sarebbe stato troppo facile diventare rancoroso e rassegnarsi.
L’amore per Dio cresce quando realizziamo che ripaga il lavoro fedele. La motivazione per le ricompense è interamente consistente con l’amore per Dio.
Quando arrivano grandi difficoltà e ingiustizie, che grande motivazione c’è nel sapere che il Signore ha promesso di ripagare i Suoi figli per la loro fedeltà. Giuseppe ci credeva. Dovremmo seguire il suo esempio.
Di Kenneth Yates
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Ken Yates (ThM, PhD, Seminario Teologico di Dallas) è Editore del giornale della Grace Evangelical Society, Relatore Internazionale GES e della Costa Est. Il suo ultimo libro si intitola: Hebrews: Partners with Christ.