Nel mio ultimo articolo ho discusso di come la parola relazione abbia sostituito la parola credere in alcuni ambienti evangelici. Ho sostenuto che questo termine può creare confusione quando viene applicato in questo modo. In questo articolo, vorrei esplorare i vantaggi e le insidie di un altro uso popolare della parola relazione nella chiesa.
Alcune volte la relazione viene presentata come risultato della fede in Gesù. Per esempio, l’evangelista potrebbe dire che quando un non credente arriva alla fede, egli entra in una relazione permanente con Dio. Con questo, potrebbe intendere che il credente diventa un figlio di Dio – un membro della famiglia eterna di Dio. Certamente, essere uno dei figli di Dio illustra la posizione permanente che abbiamo davanti a Lui. Lo vediamo ad esempio in Giovanni 1:12:
ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome (enfasi aggiunta)
Nel momento in cui una persona crede in Gesù per il dono della vita eterna, diventa figlio Suo per sempre. Quando presentato in questo modo, il concetto comunica l’idea della vita eterna e della sicurezza eterna del nato di nuovo. Il messaggio centrale che l’evangelista dovrebbe sforzarsi di comunicare al non credente è questo, e dovrebbe usare i termini in questo modo, così da essere utile.
Tuttavia, c’è una distinzione importante che deve essere fatta. Quando la parola relazione è usata in questo modo, ciò che l’evangelista intende, è in realtà più vicino all’idea di familiare che di relazione/rapporto. Per dirla semplicemente, c’è differenza tra essere imparentati con qualcuno e avere una relazione con quella persona. Sebbene entrambe le parole evochino il concetto di connessione, non si riferiscono alla stessa cosa.
Ad esempio, a una riunione di famiglia qualche anno fa, mio padre sedeva accanto a un cugino di primo grado che non aveva mai incontrato. Non sapeva nemmeno il suo nome. Ma erano innegabilmente imparentati; la donna era l’immagine speculare – in forma femminile – di mio padre. Erano imparentati in modo permanente dal sangue, ma non avevano una relazione/rapporto.
La Teologia della Grazia Gratuita insegna che la salvezza e il discepolato sono due questioni separate che non dovrebbero essere confusi. Una persona può essere salvata ma non seguire il Signore nel discepolato. In altre parole, un credente è sempre imparentato con il Padre come suo figlio, ma non è necessariamente sempre in una relazione/rapporto duratura con il suo Padre celeste. Proprio come un bambino non ha sempre un rapporto con il suo genitore terreno, i credenti possono perdere la comunione con il Signore. In questo senso, credere in Gesù per la vita eterna non garantisce una relazione/rapporto.
In Ap 3:14-20 vediamo questo problema nei credenti nella chiesa di Laodicea. I credenti in questo passaggio sono diventati così autosufficienti che non hanno più un rapporto intimo con il loro Salvatore (v 17). Ciò è illustrato dall’immagine del Signore che bussa alla porta della chiesa, offrendosi di entrare a cena con loro se si pentono (v. 20). In questo passaggio, pranzare insieme evoca l’immagine dell’intimità di sedersi per condividere un pasto con un’altra persona. Il Signore vuole avere comunione con i Suoi figli; tuttavia, non costringerà i Suoi figli ad amarlo. Nel dibattere questo passaggio, Zane Hodges scrive:
I Laodicesi erano figli ribelli di Dio. Ma l’amore del loro Salvatore li aveva raggiunti e “li educava come dei bambini” come la Sua fedeltà richiedeva. Solennemente, li chiamava a pentirsi del loro spirito tiepido e a rinnovare la loro relazione intima con Lui (Zane C. Hodges, Absolutely Free, A Biblical Reply to Lordship Salvation. 114, enfasi aggiunta)
Qui Hodges traccia la distinzione tra l’essere un bambino e avere un rapporto intimo con il Signore. Sebbene i Laodicesi fossero figli del Signore, Lo aveva escluso dall’avere una stretta relazione – un pranzo – con loro. Il Signore non avrebbe imposto loro la sua presenza al pranzo. I credenti di Laodicea avevano la libertà di scegliere se volevano o meno proseguire la loro relazione con il Signore attraverso il pentimento e l’obbedienza (v 19).
Alla luce di questa distinzione, se l’evangelista vuole usare il termine relazione/rapporto per illustrare il dono della vita eterna, deve spiegare cosa intende. Come discusso nel blog precedente, la parola relazione non si trova nel Vangelo di Giovanni. Il quarto vangelo è spesso indicato come il vangelo della vita, non il vangelo della relazione. Il Signore non ha mai chiamato i non credenti a credere in Lui per una relazione. Disse ai non credenti che avevano bisogno della vita eterna (Giovanni 3:16, 4:10,14, 11:26). Sebbene non sia necessariamente inappropriato usare la parola relazione in questo modo in un contesto evangelistico, vorrei comunque incoraggiare tutti noi a usare il linguaggio del testo quando condividiamo la nostra fede. Gesù ha parlato del dono della vita eterna, e così dovremmo fare anche noi.