All’inizio della settimana sono stata dal dentista per un appuntamento. Stando alle mie precedenti visite, l’igienista dentale sapeva che viaggio molto per lavoro. Ha iniziato a raccontare quanto odiasse gli aerei. Poiché mi aveva messo in bocca uno strano congegno per fare le radiografie, potevo solo annuire, con qualche grugnito occasionale. Poi ha detto qualcosa che non mi aspettavo. Ha detto: “La Bibbia ci dice di pentirci”.
Ha continuato spiegandomi che ci sono due momenti in cui si pente: quando si reca dal chiropratico e quando sale su un aereo. Di nuovo, sono rimasta sorpresa. All’inizio ho pensato che volesse dire che quando va dal chiropratico o sale su un aereo decide di voltarsi e andarsene; si “allontana” da quelle attività e torna a casa. Poi mi ha spiegato che ha paura del chiropratico e teme che le spezzi il collo durante la seduta. Lo stesso vale per i viaggi in aereo. Ha paura che l’aereo si schianti, quindi si pente quando sale a bordo.
Ancora una volta, i suoi commenti mi hanno mandato in confusione. Voleva forse dire che non si fidava abbastanza di Dio e che quindi doveva ravvedersi e confidare che Egli l’avrebbe protetta? Poi, ha chiarito dicendo che vuole essere sicura di sentirsi in colpa per i suoi peccati, nel caso in cui succeda qualcosa. Secondo lei, pentirsi significava essere dispiaciuti. Osservava questo rituale in cui diceva a Dio di essere dispiaciuta, come una sorta di ultima mossa disperata, nel caso in cui fosse morta durante un volo o mentre il chiropratico le faceva una manovra. In altre parole, per essere salvata dall’inferno, doveva chiedere scusa prima di morire.
Sono rimasta senza parole. Questa donna conosceva chiaramente la Bibbia e Gesù, eppure viveva costantemente nella paura in merito al suo destino eterno. Credeva di dover continuamente provare dispiacere per i suoi peccati, persino in punto di morte, altrimenti sarebbe andata all’inferno. In sintesi, non credeva in Gesù per il dono della vita eterna. Credeva di dover essere costantemente in pena per i suoi peccati e forse, poi, sarebbe andata in paradiso.
Nelle ultime settimane, GES ha tenuto una conferenza di pastori in Moldavia e una conferenza regionale in Georgia. In entrambe le occasioni, è stato affrontato il tema del ravvedimento. In Georgia, abbiamo dedicato un’intera sessione a questa parola. Ravvedimento significa “allontanarsi dai propri peccati” e non è mai indicato come un requisito per ricevere la vita eterna. Il non credente non è salvato perché si pente; egli riceve la vita eterna semplicemente credendo in Gesù (Giovanni 3:16; 5:24; 6:47; 11:25-26).
Purtroppo, questo è un aspetto che viene spesso frainteso. Molti definiscono il ravvedimento come dispiacere per i peccati, cambiare idea sul peccato o su Dio o ammettere i propri peccati – e queste sono solo alcune definizioni. Inoltre, la maggior parte lo considera un requisito per la salvezza, basando quest’ultima sulle opere. Come la mia igienista, molti vivono nella paura, pensando di doversi ripulire dei propri peccati prima di poter essere salvati.
In entrambe le conferenze ci è stata posta una domanda simile: è davvero così importante? Un pastore ha sostenuto che questo è solo un linguaggio tradizionale e che non dovremmo essere così dogmatici riguardo all’uso che ne facciamo. Fintanto che crediamo in Dio, va bene. Si tratta di un’obiezione ricorrente contro la teologia della Grazia Gratuita. I sostenitori della Precisa Grazia Gratuita sono legalisti quando si tratta di voler essere precisi con le parole?
La mia igienista ci fornisce la risposta a questa domanda, perché rappresenta un esempio fin troppo comune e che fa riflettere. Le nostre parole contano ed usare correttamente le parole della Bibbia è particolarmente importante (Gm 3:1). Ella è un esempio del pericolo che si corre quando non si riesce a definire le parole o le usiamo in modo improprio. Non avrei capito cosa intendeva per pentimento se non me lo avesse spiegato. Lo stesso vale per coloro che evangelizziamo. Molti non credenti, se non la maggior parte, pensano che pentirsi/ravvedersi significhi ripulire la propria vita o provare dispiacere per i propri peccati. Se evangelizziamo usando questa parola, li confonderemo. Inoltre, la mia storia ci ricorda in modo preoccupante che ci sono innumerevoli persone intorno a noi e nelle nostre chiese che non sanno di poter avere la vita eterna come bene presente, semplicemente credendo in Gesù. Se non hanno mai creduto in Gesù per avere la vita eterna, non sono salvate. Fanno affidamento sulle loro opere, sulla pena che provano o sui loro rituali come mezzo di salvezza. Non si stanno affidando a Cristo. Non hanno alcuna certezza e così vivono la loro vita temendo chiropratici ed aerei. Ci accorgiamo che, senza l’uso di parole ben definite, le persone conteranno sulla superstizione anziché su Cristo per avere sicurezza.
Non è una questione di pignoleria né vogliamo essere ossessivi quando ci prendiamo del tempo per chiarire il significato di parole come ravvedimento. Vogliamo che la mia igienista dentale sappia di avere la vita eterna perché il Signore desidera questo per lei (1 Giovanni 5:9-13). Vogliamo che il non credente sappia che Gesù offre la vita eterna come dono gratuito che non può mai essere perduto. Pertanto, dobbiamo sforzarci di condividere questo messaggio in modo accurato. Satana è l’autore della confusione. Teniamo conto, quindi, delle parole che il Signore stesso ha utilizzato quando ha evangelizzato; diciamo alle persone di credere in Lui per avere la vita eterna.
di Kathryn Wright